Jonas Burgert – MAMBO
Un enorme pendolo, fermo nel tempo e nello spazio, appeso solamente ad un sottile filo di lana. In equilibrio sul mondo. Un bambino o ragazzo, non è chiaro, tenta di tenere una lunga canna da pesca. Alla canna é attaccato il pendolo…o forse è un’ancora? Immersa negli abissi di una realtà sconcertante, scandagliata in ogni suo perverso elemento, abitata da inquietanti personaggi fantastici, eppure così incredibilmente veri. Un piccolo uomo vestito in giacca e cravatta e con il viso schernito in piedi sull’orlo di una macabra architettura con le braccia conserte dietro la schiena. È in attesa. Guarda dritto negli occhi chi ha di fronte. Sembra tranquillo. Intorno a lui il nulla…pareti di cemento e scale deserte, abitate solo da resti di oggetti abbandonati.
Questi sono solo due dei paesaggi che travolgono e disorientano lo spettatore nella personale di Jonas Burgert dal titolo Scandagliodipendenza – Loschut dal 26 gennaio al 17 aprile al Mambo di Bologna. L’impatto con i lavori dell’artista tedesco, per la prima volta in mostra in Italia, è sconcertante. Entrando nell’ampia sala, infatti, si è pervasi da una sensazione di disagio, dovuta alla sfrontatezza con la quale quei lugubri scenari giá descritti, schiacciano lo spazio fino a renderlo soffocante. I colori accesi, squillanti e le acide cromie, tuttavia, attraggono e abbagliano allo stesso tempo. Man mano che si scrutano le imponenti tele si ha come l’impressione di abituarsi a quei soggetti. Ogni forma di angoscia e fastidio viene sostituita dai quesiti che le opere suggeriscono al visitatore. Probabilmente portare chi entra ad interrogarsi ed a riflettere é uno degli intenti di Burgert: soffermarsi su ciò che ci circonda, su di una società che appare ormai marcia, ma che nei suoi scenari, quasi teatrali, nasconde enigmatici messaggi di una possibile speranza. Come in un teatro, infatti, sul palcoscenico della vita, simboli ricorrenti e fisionomie appena accennate rimandano ad altro. Il chiaro riferimento alle maestose tele a tema religioso dei maestri del passato, le pose delle figure ed elementi frequenti come la croce rivelano un un sottile misticismo, quasi gotico. Come non pensare alle immaginifiche rappresentazioni di Hieronymus Bosch? Come non rivedere nei lavori di Burgert quel proliferare di personaggi, tra l’animalesco e l’umano, raffigurati in atteggiamenti grotteschi, trasfigurati fino al raggiungimento della caricatura? E al pari di Bosch, l’artista berlinese, evidenzia in questo un’assoluta padronanza della tecnica e della composizione, la capacità di raffigurare in maniera unitaria eventi articolati e ricchi della più impensabile particolarità. Come anche lo studio anatomico evidente nei corpi in movimento che, seppur accennati, sprigionano un forte dinamismo. Ne è dimostrazione lo studio realizzato a china esposto all’ingresso. Un’anticamera monocromatica che invita a leggere in profondità e con molta attenzione le opere ad olio.
Il passato, ovviamente, non è l’unico punto di riferimento. Man mano che è ci si addentra in questa sorta di esplorazione difficilmente sfuggono elementi contemporanei. I forti accostamenti cromatici emergono ed accecano rimandando visibilmente al Pop, analizzato, tuttavia, anche nella sua accezione più teorica ed intellettuale che vuole l’arte al servizio della comunità, in diretto rapporto con essa, ed immediatamente leggibile. C’è poi un ulteriore livello di lettura che forse non è immediato ma altrettanto importante per comprendere la filosofia stilistica di Burgert: la fotografia. É a questo punto che la rappresentazione teatrale lascia lo spazio alla realtà e appaiono i ritratti. Ci si ritrova così in una sala circondati dai tanti volti che con vitale attenzione sembrano osservare il visitatore: un’intima poesia viene espressa da quegli occhi che Burgert riesce a rappresentare in modo estremamente umano e reale. Occhi veri come nei fotoreportage di Steve Mccurry, volti che spesso, invece, nei loro contorni finiscono per dilatarsi, mischiandosi a sfumature, fiori e colature di colori. Di nuovo un tuffo nel passato con un forte richiamo anche alla pittura fiamminga, all’uomo con turbante di Jan Van Eyck o agli sguardi penetranti, sfrontati e indagatori che Vittorio Corcos ritraeva. Un viaggio nella storia, e nell’arte che prosegue nelle ultime ultime sale dove la figura umana, e più precisamente quella femminile, diviene protagonista assoluta. Gli sfondi sono ridotti al minimo, ricoperti da un nero pastoso, perfetto per far risaltare le centrali e imponenti protagoniste: donne ritratte per intero, statiche ma allo stesso tempo vibranti di emozioni e sentimenti. Pochi elementi danno carattere, e spesso ritroviamo nuovamente le accese cromie. Anche qui fortemente visibile nei dettagli la maestria tecnica: negli eleganti vestiti dalle stoffe esotiche, nei particolari dei molti fiori presenti che assumono anche un importante ruolo simbolico di vita e speranza.
Il cerchio si chiude.Torniamo ad incrociare lo sguardo di quel piccolo uomo vestito in giacca e cravatta e con il viso schernito in piedi sull’orlo di un architettura deserta con le braccia conserte dietro la schiena. Non sembra più così macabro ed inquietante.
– Alice Belfiore, Natalia Izabel Gaweda & Eva Basso (foto)
LOTSUCHT / Scandagliodipendenza – Jonas Burgert A cura di Laura Carlini Fanfogna MAMBO, Bologna 26/01/2017 – 17/04/2017